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mercoledì 23 giugno 2010

La precarietà influenza il mio desiderio di felicità?



E' uscito il nuovo libro di Dario Danti, ex segretario di Rifondazione Comunista di Pisa e oggi coordinatore provinciale di "Sinistra ecologia e libertà" ed insegnante (precario) di Storia e Filosofia. Il libro s'intitola "Amici miei" e racconta delle storie di trentenni che superano ogni ostacolo per la loro realizzazione professionale.

In tutta onestà sono rimasta davvero stupita che una persona impegnata politicamente a sinistra lanci un messaggio positivo e di speranza riguardo le condizioni di lavoro precarie dei trentenni italiani di oggi. Per questo motivo ho ritenuto opportuno segnalarlo nel mio blog.

Se penso alla mia vita lavorativa, dai 16 ai 29 anni attuali, la precarietà rappresenta la mia normalità.
Non ho mai vissuto una situazione lavorativa a tempo indeterminato; un pò per scelta, un pò per mancanza di offerta, un pò per i cambiamenti socio-culturali avvenuti in questi ultimi anni.

In sè la precarietà rappresenta qualcosa di negativo, di instabile, di insicuro, lo dice la parola stessa; non si può richiedere un mutuo in banca, non sai come fare per mangiare e per pagare l'affitto del mese, il bollo e la rata dell'auto...per chi l'auto ce l'ha.

Non amo le visioni a senso unico perciò voglio cambiare punto di vista.
Soprattutto non amo piangermi addosso perchè mi ritengo super fortunata.
Voglio raccontarvi la precarietà sotto altri aspetti così come l'ho sempre vissuta.

La precarietà mi ha insegnato a rialzarmi dopo tutte le cadute (intendo tutte le volte che un contratto terminava senza che mi venisse rinnovato, dopo tutte le fregature di presunti annunci di lavoro, viaggi inutili, tempo sprecato; dopo tutte le false promesse dei vari capi che ho avuto, dopo tutte le volte che il mio lavoro è stato sottopagato, dopo che ho subito del mobbing...); mi ha fatto scoprire i miei limiti, quanta forza può avere l'istinto di sopravvivenza, la potenza sorprendente della creatività e della fantasia quando l'acqua ti arriva alla gola; mi ha dato la possibilità di svolgere un secondo lavoro per brevi periodi e quindi di avere una paga doppia per qualche mese; non potendo permettermi un'auto mi ha costretto a recarmi al lavoro in bici anche d'Inverno rendendo le mie gambe toniche senza spendere un centesimo in palestra; mi ha dato la possibilità di viaggiare quando e quanto volevo al termine di ogni contratto a progetto; mi ha dato la possibilità di lavorare all'estero, di fare tutto il Cammino di Santiago a piedi, di andare in Africa un mese per una missione di volontariato; di vivere un anno a Roma; di sposarmi e di fare un viaggio di nozze di un mese in Perù; mi ha fatto conoscere così tante persone dalle diverse professioni che ora ho un portfolio personale che potrei rivendere tranquillamente; mi ha fatto maturare diverse capacità tecniche che ora saprei gestirmi in molteplici situazioni di lavoro; ha aumentato il mio senso di responsabilità; mi ha sempre stimolato a dare il meglio, a vivere ogni giorno come una conquista e a non dare mai nulla per scontato.

Ammetto che senza l'aiuto di mio marito e delle nostre famiglie, probabilmente avremmo fatto un matrimonio meno costoso e magari avremmo rinunciato al viaggio di nozze o saremmo partiti per un'altra missione nel terzo mondo, prestando lavoro in cambio di vitto e alloggio. Ma comunque ci saremmo sposati.
Una cosa importante che ho scoperto con la missione in Africa è che se uno vuole può girare il mondo con pochi euro in tasca e tanta voglia di lavorare facendo del bene per gli altri. I missionari hanno bisogno di aiuto e un posto letto in più c'è sempre.
Basta adattarsi.

Mi chiedo: la precarietà influenza il mio desiderio di felicità?
Se pensassi di sì, credo che sarei sulla strada sbagliata.
Quali sono le fondamenta dove poggia la mia felicità?
Un contratto a tempo indeterminato?

Conosco persone che hanno un ottimo lavoro fisso con dei buoni orari e un buono stipendio. Ma non sono felici. Dal mio punto di vista hanno tutto: una macchina, una casa acquistata col mutuo, l'abbonamento in palestra, dei bei vestiti, ristorante ogni week end e tutte le pause pranzo, ferie pagate ogni anno...cose che io non ho mai avuto! E riescono a lamentarsi di quello che non hanno..dai loro discorsi capisco che non c'è un filo d'oro che collega le scelte della loro vita oppure c'è un'insoddisfazione generale per l'ambiente di lavoro in cui si trovano... e allora mi chiedo: cosa veramente influenza il mio desiderio di felicità?

Quello che voglio dire è che nonostante la mia "condizione precaria naturale" ho sempre trovato migliaia di stimoli in tutto quello che facevo in nome di un progetto di vita che mi ha dato una visione d'insieme e una consapevolezza di ciò che voglio essere.
Ritengo che il proprio posto nel mondo ognuno se lo debba costruire con sacrificio, mettendo l'anima in tutto ciò che fa.

Sarei superficiale se affermassi che la precarietà, così come si presenta in Italia, fosse un aspetto assolutamente positivo del lavoro.
La precarietà in Italia sarebbe assolutamente positiva se venisse assicurata un'entrata mensile e una tutela per il lavoratore, specie per le donne in gravidanza! Sarebbe un'immensa opportunità di sviluppo sociale, culturale ed economico!
Non so dare una risposta sul "come" ma dal profondo del mio cuore vorrei che i politici impegnati in questo momento storico si occupassero seriamente di questa situazione.

Ho imparato che bisogna lasciare sempre uno spiraglio alla speranza ma non aspettando con le mani in mano.
Ogni persona ha il dovere morale di costruirsi il proprio futuro in base alle sue possibilità e di lottare per i propri diritti.

Spero, che tra i giovani leader che stanno crescendo in ogni parte del mondo, si formi una mentalità e una coscienza che diffonda una sana cultura del lavoro, ricca di valori positivi, voglia di fare, creatività, determinazione e rispetto per la persona.

Ripongo tanta speranza nella mia generazione e ancora di più in quelle che verranno.

Laura

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